giovedì 29 ottobre 2009

la gripe! la gripe!

Jojo, uno splendido alieno

Nelle ultime settimane ho visto i due "cantanti" (termine riduttivo) che stanno tra quelli in cima alla mia lista di preferenze, e che per qualche strano motivo metto nella stessa casella, nonostante siano molto ma molto diversi tra loro, quasi diametralmente opposti. Dev'essere perchè entrambi vivono di passione per la musica, per la loro musica tanto diversa da quella di tutti gli altri, perchè non hanno paura di esibirsi in piccoli locali davanti a poca gente, perchè continuano instancabili nonostante gli scarsissimi riscontri commerciali, e forse nemmeno gliene importa. Li conoscono in pochissimi, ed è un vero peccato.
Di Mark Eitzel ho già scritto poco tempo fa, e a quanto pare leggendo le cronache dei concerti che sta facendo in giro per l'Europa la data di Barna è stata l'unica sfigata (per farsi un'idea di come avrebbe potuto essere si vada qui: tutto diverso, a cominciare dal pianoforte e dal cappello). Domenica scorsa, invece, ero a Roma a vedere Jonathan Richman, di scena al Big Mama in compagnia del fido Tommy Larkins alla batteria, con cui fa coppia fissa ormai dai tempi di "Tutti pazzi per Mary".
Ovviamente è stato un concerto molto divertente, come sempre. Quando è in Italia, il buon JoJo si sbizzarrisce col suo italiano maccheronico, sia a tradurre o introdurre le canzoni cantate in inglese (o in francese, o in spagnolo, stavolta una persino in greco), sia a cantare direttamente nella nostra lingua ("In che mondo viviamo" e soprattutto una lunghissima "Così veloce" le vette della serata insieme a "I was dancing in a lesbian bar", con un pubblico in delirio). E balla , e gira tra il pubblico, e ammicca con le sue espressioni uniche, teatrali, drammatiche in contrasto con l'ilarità di molte canzoni.
Ma personalmente, devo dire, quello che nei suoi ultimi dischi, e concerti, mi colpisce di più è la profondità di quello che scrive. Facile considerarlo un personaggio fanciullesco, quando in realtà è tutt'altro. Sotto l'apparenza leggera ci parla della necessità di vivere bene e del piacere delle piccole cose in contrasto con la frenesia moderna ("Io dico basta a la mente"... ma anche una magnifica "Take me to the plaza"), di arte ("Pablo Picasso", naturalmente sempre a far rima con asshole, e "Noone is like Vermeer" ), di musica (la nuova "Keith Richards"), in generale di sentimenti. Questa sua vena romantica e introspettiva viene spesso sottovalutata, mentre mi pare che sia quella a cui recentemente Jonathan tiene di più. La scelta dei bis fatti a Roma mi sembra indicativa: mentre tutti urlavano titoli tra i più noti, lui ha scelto l'accoppiata minore "This romance will be different for me" e "When we refuse to suffer".
Forse per questo appare ai più come un alieno, forse è per questo che ha così poco successo ma dei fans affezionatissimi: non è semplice parlare alla gente con semplicità, ironia e profondità. E sono sempre meno le persone con il tempo e la voglia di capire simili parole, e con la capacità di non considerarle stupide. Ma chi lo fa, davvero trova un tesoro di quelli che riempiono il cuore.

martedì 20 ottobre 2009

and now for something completely different

stasera mi sono iscritto per votare alle primarie del PD come italiano residente all'estero, compilando l'apposito modulo qui. mi pareva una cosa buona e giusta, come ogni partecipazione alla gestione della cosa pubblica.
soddisfatto di me stesso e del mio senso civico, mi sono rilassato e ho iniziato a guardare meglio.
a farci caso, la signorina dell'immagine mi sembra tanto una delle sciape annunciatrici sedute su quegli inquietanti divani che nessuna persona sana di mente si metterebbe in casa, quelle che toccavano lo schermo e spuntava la farfallina di mamma rai.
il verde che indossa è un bel verde padania, pensavo fosse un marchio depositato dalla lega ma evidentemente mi sbagliavo. dev'essere un verde speranza, o il verde delle nostre tasche, chissà.


voterò online il 25 ottobre. dovrò scegliere tra franceschini, bersani o quell'altro, coso lì, ignazio marino: l'hanno appena licenziato dal napoli calcio e già ha trovato come passare il tempo.
il simbolo che hanno scelto è una molletta, di quelle da stendere, con su scritto "ci tengo". non ho intenzione di chiedermi il motivo, immagino che sia stata una decisione come sempre sofferta e complicata. forse è quella che ci serve per turarci il naso, peccato che votando online non posso averne una vera. pare che le alternative fossero un imbuto con la scritta "butta giù e non fare storie, pensa ai bambini del biafra che muoiono di fame" e un clistere con incisa la frase "PRAAAAAAAAAA!!!!", ma pare che la binetti avesse da obiettare. si sa che lei è una che obietta spesso, soprattutto con quelli del suo stesso schieramento.

ho già l'ansia. sudo.

io non lo so mica se ce la faccio.

giuro che non vado più. tranquilli, culé.

domenica 18 ottobre 2009

mezzi di civiltà

in una città come Barcellona, un italiano come me si stupisce ogni giorno per non essere sottoposto a una serie di scomodità che nella mia città (la povera, povera Milano) sono talmente normali che non ci si fa nemmeno più caso, da anni. io qui mi stupisco per non dover aspettare un autobus per un tempo indefinito, per non essere costretto a salire su treni sporchi da far schifo, per non dover cambiare n mezzi di trasporto per raggiungere una delle pochissime linee della metro. sembra fantascienza, ma da casa mia (a Les Corts, piuttosto fuori mano) posso raggiungere il centro città in pochi minuti scegliendo tra: due delle tante linee di metropolitana, rispettivamente a 5 e 8 minuti di cammino; 4 linee di bus che passano invariabilmente a 10-15 minuti di distanza (e 3 linee notturne che passano ogni 20 minuti); il servizio del bicing, con 4 stazioni di raccolta bici negli immediati dintorni e - udite udite! - piste ciclabili un po' ovunque. i treni, puntuali e puliti, portano ovunque, con stazioni cittadine, nell'hinterland (tutto l'hinterland) e servendo le coste e l'entroterra. sembra quasi di essere persone civili in una città civile, e improvvisamente ci si rende conto che no, non è normale essere trattati come trattano noi.
il risultato è che la macchina non si tocca, e si può scegliere a seconda delle occasioni. stasera ero in giro per la Barceloneta e per tornare a casa ho scelto il bus. una quarantina di minuti con il 57 dalla spiaggia a casa, quello che ci voleva per terminare il mio libro.
ci ho messo molto, a finire "Qualcuno con cui correre", e non saprei dire perchè: ogni volta che l'ho preso in mano mi ha appassionato, ma paradossalmente mi è costato abbastanza trovare la voglia di continuarlo. ora è finito, e dico che mi è piaciuto, che la storia di Tamar, Assaf, Dinka e di un'altra città, Gerusalemme, mi ha coinvolto e commosso.
ora non so quale sarà il prossimo, è in corso un ballottaggio tra Firmino (anzi, Firmin, visto che l'ho preso in spagnolo) e l'ultimo Ammanniti che da un po' di tempo mi guarda dallo scaffale.
il prossimo giro in autobus porterà consiglio.

tramonto sul Port Vell

martedì 13 ottobre 2009

Al Casa Delfin, Passeig del Born

"I just hate to be me"


Ho appena visto Mark Eitzel accompagnato al piano da Marc Capelle al Heliogàbal di Gracia. Avevo letto ottime recensioni dei concerti inglesi dei giorni scorsi, e mi aspettavo la solita grande intensità di sempre. Invece mi trovo a parlare di tutt'altra serata. Di un cantante bolso, vestito come un barbone, ubriaco, che parla fin dall'inizio della troppa Cava bevuta, e che gioca molto, troppo, col ruolo del loser, del povero artista incompreso, dello sconfitto dalla vita. E lo fa nel modo peggiore: ridendo, scherzando grevemente con un pubblico dapprima divertito e via via sempre più sconcertato, interrompendo di continuo le canzoni, stravolgendole e svuotandole di significato. Lou Reed direbbe "sono le mie canzoni e ne faccio quel che mi pare", e in effetti chi sono io per giudicare. Ma qui si trattava di un'altra cosa, Mark non é strafottente come Lou, non ne é capace, si scusa col pubblico, sa di non dare un bello spettacolo di sé. Ma continua, togliendo intensità alle sue splendide e profonde canzoni, ridacchiando mentre racconta di un amico morto di AIDS, compiacendosi di questa sua pessima vena.
Marc Capelle all'inizio é (quasi) nelle sue condizioni, traduce in spagnolo maccheronico quello che dice il suo cantante e lo sostiene ("Mark Eitzel es un oso") ma il divertimento finisce subito. In seguito sarà proprio Capelle a capire per primo che si sta andando un po' troppo in là, cercando di riportare lo spettacolo su binari di dignità. E oltre. Certo, perché quando si ricorda di essere lì per dare il meglio di sé anziché il peggio, Mark riesce finalmente a emozionare come solo lui sa fare. Così, dopo aver massacrato, tra le altre, Last Harbour, Mission Rock Resort e Johnny Mathis' Feet, Eitzel e Capelle ci regalano una The Thorn in My Side Is Gone da brividi, e poi Patriot's Heart, No Easy Way Down ("this song is about how I will feel tomorrow morning when I'll try to get up") e addirittura una Gary's Song (con Franz Nicolai al banjo) che sa di beffa: vedere Mark cantare "If you drink too much you will drown" con l'ennesimo bicchiere di rosso in mano fa venire i brividi ma mette una grande tristezza.

Alla fine di tutto, Mark ci dice che é colpa nostra, di noi spagnoli che abbiamo cibo e soprattutto vino troppo buoni. Quanto a lui, "I'm only a man", ci ripete. Forse ha ragione, e la serata a tratti penosa a cui abbiamo assistito é solo un episodio, e a chi non capita alzare un po' troppo il gomito ogni tanto. Forse. Ma sentirlo dire "I just hate to be me" e vederlo come stasera, beh, questo mi ha fatto molto male.

martedì 6 ottobre 2009

mark eitzel a barcelona

lunedì prossimo mark eitzel, ossia il più grande songwriter vivente, suonerà con marc capelle all'heliogàbal, a gràcia (e lo stesso giorno esce il suo nuovo disco solista, "Klamath", in attesa del nuovo degli American Music Club).
no se lo pierdan.

new entry al parcheggio sotto casa