venerdì 31 luglio 2009

David CHIIIIIII?

l'altro giorno ho pubblicato una foto del mio sabato da casalingo, ferro caldo e mac davanti al naso a farmi compagnia e a peggiorare, se possibile, la qualità del mio stirare. il Mr. D. in questione, naturalmente, non era il diavolo con cui ballavano gli Stones in un molle album del 1973, ma il signor David Byrne, leader dei Talking Heads ai tempi del video che stavo vedendo (live a Roma del 1980, tour di "Remain in light", stratosferico), poi solista, fotografo, regista, scrittore, artista multimediale, disegnatore di tazzine aliene per Illy e chi più ne ha più ne metta. la prova vivente che persino un palo come me può provare una voglia irresistibile di ballare, e di divertircisi pure.
ho scoperto Mr. D. in un concerto a Milano al Teatro Smeraldo nel 1992, tournée di "Uh-Oh", trascinato dal mio fratellino Tommy. io all'epoca avevo scoperto da poco il rock "serio", ed ero alla ricerca onnivora di nuove emozioni musicali. una spugna, già con gusti abbastanza definiti ma, soprattutto a causa dell'ottusità tipica della giovane età (ne ho avuti 19 anch'io) attraversavo la fase dura e pura - definiamola "cupezza e rumore" - di Velvet Underground, Jesus and Mary Chain e Sonic Youth, dei Bad Seeds più stridenti, di Cure e Banshees. il ritmo non era contemplato se non come parte integrante del caos, il ballo nemmeno a pensarci: io già chiuso e timido per natura, consideravo lo sculettamento una cosa da smidollati e lo associavo al "pop" più becero, quello che passava alla radio (orrore!). vuoi mettere la goduria nel vedere l'espressione vuota di chi alla domanda "che musica ascolti?" si sentiva rispondere, che so, "i Dinosaur Jr.". CHIIIII? aaaah, che grande momento.
David Byrne, se non altro per non dare la soddisfazione a Tommy, un po' lo sottovalutavo: mi suonava piuttosto tradizionale, addirittura usava i fiati nei suoi dischi (ma suonati bene eh, mica in modo destrutturato come Steve MacKay in "Fun house" degli Stooges o gli Horns of Dilemma in "Black girls" dei Violent Femmes!), e aveva da poco pubblicato un disco di musica sudamericana. mah, c'era di che diffidarne.
ovviamente quel concerto fu una rivelazione e mi aprì dei mondi completamente nuovi. e chi se lo immaginava che si potessero coniugare chitarre elettriche ritmiche (le mie preferite, nonostante tutto: non sono mai stato un tipo da assoli), fiati, percussioni, cori, ritmo, con quelle caratteristiche underground di ripetitività, dissonanza e follia (la voce acuta e potente, lo sguardo folle, le movenze buffe, persino gli abiti strani) che tanto amavo? ricordo che uscendo dal teatro mi chiesi come si facesse a ballare quella merda da discoteca quando esisteva questo: perchè la gente non lo sapeva? perchè non si diffondeva "Burning down the house" nelle strade in modo che tutti potessero goderne?

da allora, manco a dirlo, sono diventato un seguace delle Teste Parlanti (uno dei miei grandi "Concerti Mancati" insieme a Morphine, Nirvana, Stooges) e il ritmo è entrato nel mio dna musicale, portando in superficie quello che già covava sottopelle ma che per strane e ridicole ragioni mi vergognavo ad accettare. sono andato molto più in là, fino a "Give it up and turnit a loose" di James Brown, dove ci si deve fermare tutti - ammirati e un po' spaventati - perchè più ritmo di così non si può. ho visto Mr. D. in numerose occasioni, sempre più appannato, sempre più "normale": piacevole, bravo - ovvio - ma non molto di più. ad aprile di quest'anno però è tornato a Milano (e a Barcellona, ma non c'ero) in una tournée trionfale piena di tutto quello che me lo ha fatto amare: vestiti folli, coreografie geniali, movimenti imprevedibili, un sacco di vecchie canzoni (compresa la mia "The great curve"), la voce assatanata come un tempo, il bis coi tutù: proprio "Burning down the house", e mi pareva che davvero la stesse ballando tutta la città tanto era irresistibile, come in una scena di un musical americano. la grigia milano nelle strade, a cantare i cori dai testi apparentemente casuali, ad alzare in alto le mani e a chiederne di più: fuori dal teatro doveva per forza andare così.

gli anni passano e mi rendono meno intransigente, più aperto a cose che prima non capivo, magari anche più chiuso rispetto ad altre che non capisco più, chissà. Tommy continua a sperimentare, io un po' meno. magari finirò per diventare come quei rammolliti che ascoltano il pop alla radio; ancora no, però, e sotto sotto ne sono felice.
nel frattempo i Dinosaur Jr. si sono rimessi insieme, J Mascis è grasso e forse un po' patetico, ma quel "CHIIIIIII??" della gente che non li conosce è sempre una gran soddisfazione, come sentirsi parte di un ristretto gruppo di Illuminati. e io, se devo scegliere la musica adatta per sculettare mentr stiro, scelgo sempre volentieri i Talking Heads.

anche se sono nel mio periodo-beatles

giovedì 30 luglio 2009

viva la vida

quante vite si possono vivere in una volta sola?
molte, nessuna.
si può desiderare ardentemente di farsene, o rifarsene, una.
ci si può illudere di averne una quando non c'è. ci si può dare un gran daffare, cambiare città, cercare di incrociare le vite degli altri e di esserne coinvolti, si può provare a pianificarne una nonostante tutto.
si può scapparne o correrle incontro. si può ardere di vita e sentirne comunque il gelo, si può pensare alla vita desiderata senza poterla vivere, si può viverne una nel futuro con il corpo e un'altra totalmente differente nel passato, con la mente.

si può veder nascere una vita ed emozionarsi di fronte alle manine di un Alejandro che qualche ora fa non c'era. è bello, Alejandro, e sono belli gli sguardi di Silvia ed Alex, e quelli che vedrò a breve di Isa e Max, Fra e Luca, Momi e Dario. Giò e Matteo, anche, Paola e Ricky. già me li immagino, vivi.

si può anche immaginare la vita di un altro e plasmarla secondo le proprie illusioni, e pretendere che un giorno le nostre vite si debbano rincontrare. credere di poter avere anche noi quegli sguardi.
si può pensare che non sia questa, la vita.
poi ci si può semplicemente imbattere in una foto, e vedere che un altro sta vivendola al posto tuo. in quel momento barcellona non c'è più, sembra non esserci più niente oltre a quella foto e ad altre che hai già visto e ti tornano alla mente.
invece no, altro c'è.
c'è la persona dietro a quella macchina fotografica, c'è quel dito invisibile che l'ha scattata, quella foto.
e improvvisamente riecco la tua vita, eccola lì che torna prepotente e ti pervade. la riconosci, ha il suo profumo. è altrove, ma è qui, e ovunque.

c'è Alejandro, che ieri mattina non c'era.
è bello Alejandro, e anche Simona lo è.

seguimos, adelante.

mercat de Sant Josep, la Boqueria, Raval

venerdì 24 luglio 2009

introducing: il lampista

A Barcellona esiste una figura professionale che racchiude in sè tutta una serie di capacità e competenze lavorative che altrove sono suddivise tra un gran numero di differenti personaggi: IL LAMPISTA.

Perde il tubo dell’acqua in cucina? Si chiama il lampista. Vi salta il motorino elettrico della tapparella? No problem, c’è il lampista! Serve un’imbiancatina, o avete una piastrella da sostituire, o la perdita d’acqua di cui sopra vi fa alzare tutto il parquet? Il numero di telefono da fare è sempre il suo: quello del vostro amico lampista! Una specie di tuttofare, idraulicoelettricistaimbianchinoparquettistamuratore all-in-one. Semplice e geniale, a pensarci, tipico esempio del senso pratico dei catalani.

Se non che, c’è il classico rovescio della medaglia. Il lampista generalmente è un cretino.

Caratteristiche fondamentali del lampista sono:

- come regola di vita, al primo appuntamento non si presenta;

- al secondo (e a quasi tutti quelli successivi) arriva con un’ora di ritardo, naturalmente senza avvisare;

- la sua prima diagnosi del danno appare sicura, puntuale e circostanziata, ma alla prima domanda che gli fate crolla miseramente e, pur cercando di mantenere una sua dignità professionale, inizia a brancolare nel buio;

- dal momento della nascita del problema alla sua conclusione passerà un tempo indefinito, e inesorabilmente rimarrà sempre e comunque uno strascico di “finiture” da effettuare che si trascineranno per mesi, moltiplicandosi senza trovare soluzione. Tali finiture spesso vengono effettuate con innegabile creatività architettonica, anche e soprattutto se non richieste.

Nei sei mesi da cui sono qui mi sono capitati tutti i danneggiamenti di cui sopra:

1) Parquet apertosi a causa di una perdita d’acqua e riparato una prima volta con rischio di intossicazione da vernici, ri-sollevato e ri-riparato non avendo la minima idea della causa dei numerosi rigonfiamenti che si creavano qua e là (le ipotesi sono state nell’ordine: ulteriori fughe d’acqua inesistenti, IL CALDO DELL’ESTATE - nota causa di rigonfiamento di parquet -, la bassa qualità del legno peraltro precedentemente scelto e posato dal lampista stesso, Da ultimo, il riscaldamento a soffitto del negozio sotto di me (in luglio?!?!); evidentemente la commessa era parsa particolarmente freddolosa. In ogni caso la soluzione è stata geniale (sopra una foto del mio nuovo "parquet". Si, è vero: non è più un parquet, e non pensate che qualcuno si sia preso la briga di avvisarmi prima);

2) Tapparella incastrata a causa di una vite fuoriuscita. In questo caso il nostro uomo ha cercato di rimetterla in sede con abile mossa e con l'espressione di chi la sa lunga, salvo romperla definitivamente e ripararla solo dopo lunghe trattative;

3) Ulteriore fuga d’acqua, stavolta nel bagno, riparata con tocco d’artista (a destra, la creativa soluzione d’arredo)


La prima reazione dinanzi a tanta insipienza e disorganizzazione è di stizza, ovvio. Ma poi in qualche modo ci si abitua, e diventa quasi una routine familiare. Si finisce per pensare di essere noi troppo esigenti, troppo intransigenti, quasi ci si sente in colpa per il nostro brutto carattere. Lui si impegna, in fondo. E che diritto ho io, che sono impedito persino a piantare un chiodo per un quadro, ad insegnargli come si ripara una fuga d'acqua? I liquidi per natura, si sa, sono infidi e imprevedibili, e valli a riprendere quando si mettono in mente di scappare.

Mentre scrivo queste righe il mio lampista, che ormai passa più tempo qui da me che a casa sua, sta segando sul terrazzo insieme al suo impassibile assistente dell'est un pezzo di zoccolino della cucina che, lasciato troppo alto l'ultima volta, mi impedisce di aprire la lavastoviglie. Sudatissimi e impegnati in un lavoro, l'ennesimo, che a loro pareva davvero risolutivo. Ora ha finito, e mi ha messo anche un altro pezzo che probabilmente si staccherà da solo domani stesso; deve saperlo anche lui, dato che ha addirittura lasciato gli attrezzi qui da me.

Alla fine, penso che forse davvero quel parquet veniva su da solo, senza un vero motivo, quasi a voler manifestare la propria esistenza. I piatti potevo benissimo lavarli a mano e a guardarla bene, quella piastrella di un altro colore in bagno mi mette allegria.

Fa caldo stasera. Chissà come fa la ragazza del negozio qui sotto ad avere sempre così freddo... Domattina glielo chiederò.

i mutts



mercoledì 22 luglio 2009

del non leggere e del tornare a farlo

Sono sempre stato un discreto lettore, almeno da quando non mi hanno più obbligato a farlo, ma ogni tanto mi capitano dei periodi di "non-lettura compulsiva". Sono settimane, a volte mesi, in cui non riesco a concentrarmi sulla lettura (di romanzi, almeno), ma nonostante ciò continuo imperterrito ad acquistare libri e ad accumularli sul comodino. In questi momenti sono anche capace di dire, su precisa richiesta, che "sto leggendo" 3 o 4 libri insieme, quando al massimo li sfoglio. Magari è una malattia, una sindrome, un virus, una questione genetica, non so. O una forma di feticismo (c'è chi è feticista dei piedi, io lo sono di libri, dischi, fumetti), o dipendenza dall'odore della carta stampata. Non so bene.
Le conseguenze negative sono principalmente due.
Da una parte la cronica mancanza di spazio. Quando lavoravo in RCS ogni tanto il capo liberava il suo ufficio delle cosiddette "copie staffetta" e chiamava il branco di dipendenti dell'ufficio ad approfittare di cotanta obbligata generosità; io, da buono stagista-a-gratis squattrinato e idealista, ero sempre in prima linea e lottavo per accaparrarmi una copia (quasi) fresca di stampa dei saggi più improbabili o di un prezioso "classico Bur" greco o latino con testo a fronte (quei tristissimi e seriosi volumetti con la copertina grigia, Cicerone e Platone ma anche "Manifesti elettorali dell'antica Pompei"; mi sa che una volta mi era toccato questo, e scopro ora che - sorpresa! - è esauritissimo). Mai letti, perlopiù, ma tutti orgogliosamente disposti in quarta fila sulle mensole della cameretta, con in sottofondo l'ennesimo ultimatum di mio padre: "O tu o i libri".
Da allora ho scelto le mie non-letture con più criterio, e ho risolto il problema della mancanza di spazio occupando circa 4 case in 10 anni. I troppi traslochi, alcuni molto dolorosi, hanno sempre mantenuto questo risvolto che me li ha resi meno pesanti... Ora sto inesorabilmente riempiendo la casa di Barcellona; che un giorno debba rientrare nell'appartamento (già pieno, ovvio) di Milano è un dettaglio, penserò a tempo debito a come aggirare la legge di impenetrabilità dei corpi che impedisce a un contenitore di essere più piccolo del suo contenuto.
La seconda, e più importante, conseguenza negativa è che in questi periodi non leggo. E a me piace leggerli i libri, persino di più che annusarli. Quindi ci soffro, a non riuscire a mantenere la concentrazione, a cedere alla stanchezza e alla distrazione. Continuo a leggere qualcosa, certo: fumetti innanzitutto (proprio ora: Fables quinto volume, e Jeffrey Brown), giornali, riviste, internet, la Lonely Planet di Barcellona), ma i "libri" sono un'altra cosa. Forse l'acquisto ininterrotto di cui sopra è semplicemente un goffo tentativo di trovare il libro giusto.
Una tecnica consolidata per riprendere la lettura è rifugiarmi tra i miei autori preferiti, "andare sul sicuro". Quelli che non tradiscono, che riesco sempre a leggere anche in periodi di magra. Bunker, Hornby, Doyle, Pennac, Starnone, altri ancora, mi fanno sentire a casa e interrompono la crisi ipolibraria. Pennac, Benni, loro non sempre, più complessi per quanto li adori.
Per questo durante la mia ultima visita milanese, una decina di giorni fa, sono andato come sempre alla Fnac e al Libraccio, e ho preso - appunto - l'ultimo di Roddy Doyle, ("Irlandese al 57%", gran titolo) e l'ultimo (questo davvero ultimo, ahimè) di quella pellaccia di Eddie Bunker: "Mia è la vendetta". Poi prima di arrivare alla cassa, complice una sempre gradita campagna sconti sui libri Einaudi, ho visto il primo romanzo di uno scrittore che non conoscevo, tal Josh Bazell: "Vedi di non morire". Il lancio promozionale recitava: "E' un sicario, ma è l'unico che ti può salvare. Una fantastica commedia nera di risate e sangue. E chirurgia d'urgenza." E ho iniziato da quello, mettendo in lista d'attesa gli amici di sempre.
E' bello scoprire che ci si riesce ancora a stupire per qualcosa di nuovo, che esistono libri (o dischi, o quadri, o tramonti. O persone, persino.) che ti trasmettono qualcosa, che parlano il tuo linguaggio, che si incastrano così bene nel tuo modo di essere. Per le recensioni letterarie di "Beat the reaper" (titolo originale) o further informations su questo medico-mafioso-cazzone che ne è il protagonista, cercate altrove (qui c'è anche il gioco!). E vedremo se davvero Leo Di Caprio interpreterà Peter Brown in un film che quizàs tradirà, o no, lo spirito del libro.
Io posso solo dire che ho finalmente ripreso a leggere, e con grandissimo gusto.

Cortile dell'Antic Hospital de la Santa Creu, Raval

domenica 19 luglio 2009

gino



incipit

Quando mi sono trasferito a Barcellona ho avuto subito l'idea di un blog per fare, diciamo, una "cronaca" della mia permanenza qui. Avevo pensato a una foto al giorno, senza parole. Poi a un blog più tradizionale, con commenti e quant'altro mi venisse. Avevo scelto il titolo, da una canzone di Tom Waits, e impostato la pagina.
Mi sono fermato prima di iniziare. Colpa della pigrizia, dell'indecisione, degli impegni, della concorrenza di Facebook. Me l'ero persino dimenticato...
Ora sono passati 6 mesi, e mi piacerebbe riprendere l'idea, senza pianificare troppo. Sarà come sarà. Mi è tornata la voglia capitando dopo mesi sul blog di Rose, che è proprio bello, dapprima leggendolo e poi, su sua spinta, lasciando qualche commento qua e là. 
A ver que pasa, come si dice qui.
Cominciamo, quindi.