domenica 3 gennaio 2010

9.30 circa, domenica mattina

Quando sono entrato nella stanza da letto stava sistemando le lenzuola. Ci siamo salutati così, con quell'imbarazzo di chi non si vede da due anni, con gli occhi bassi. Aveva cambiato qualcosa: il letto era addossato all'altra parete. C'era qualcosa di sbagliato.
L'altro ha cambiato ambiente subito, sgattaiolando fuori dalla stanza, forse sapendo di essere di troppo. Non ho fatto nemmeno a tempo a vedere che faccia aveva; probabilmente non la sua.
Mi sono offerto di aiutarla; poi, chissà perchè, le ho chiesto se ultimamente aveva visto qualche bel film. Che cosa idiota da dire.
"No", mi ha risposto, e dopo una lunga pausa ha aggiunto sottovoce: "Problemi di soldi". Stavo per dirle della mia idea di accantonare il denaro del rimborso della ristrutturazione in un fondo per i bambini; pensavo di darglieli più avanti, ma forse le sarebbero serviti ora. Alla fine non gliel'ho detto: non c'erano bambini in quella casa. (Dove sono i bambini?)
In quel momento di esitazione, il lavoro sulle lenzuola l'ha portata ad avvicinarsi a me dalla mia parte del letto. Io ero sempre lì impalato che la guardavo lavorare e ogni tanto abbassavo lo sguardo. L'avevo causata io quella situazione e provavo vergogna.
Mi ha preso il bavero del cappotto (non mi ero ancora tolto il cappotto) e mi ha sussurrato "Lui vorrebbe che ogni tanto andassimo a mangiare dai frati". Frati? Che frati? E perchè? Possibile che i problemi economici siano così gravi? A guardarla meglio, in effetti, la trovavo trasandata, non nella persona ma nell'abbigliamento, quasi indossasse vestiti di seconda mano. "Potremmo andare in rosticceria qualche volta, ma lui insiste. A volte ci fermiamo anche a dormire, dai frati". Sembrava una richiesta di aiuto, era una confessione infima che non mi aspettavo facesse a me; come fosse prigioniera di una vita non sua e mi stesse chiedendo in qualche modo di riportarla dove avrebbe dovuto stare.
L'ho abbracciata. (Forse.) Lui stava sempre alla larga, e così tutti gli altri, quasi come se non volessero interferire in un momento così solenne. Erano passati due anni.
In salotto invece c'erano tutti, anche i genitori. Una discreta folla. Giurerei ci fosse anche il Tim da qualche parte; se c'era era imbarazzato anche lui come tutti. Sul divano si è seduta alla mia sinistra e ha appoggiato la testa sulla mia spalla; ho sentito il suo profumo, era sempre lo stesso, e ho ricambiato l'abbraccio. Ce ne siamo stati lì testa contro testa per un po', come sempre i suoi capelli ricci mi andavano a finire in bocca e mi facevano pizzicare il naso ma stavolta li lasciavo lì, non volevo perdere questo attimo. Ancora non capivo se era un momento che poteva durare o no, se quei segnali che mi mandava erano solo nostalgia o se potevano essere il preludio a qualcos'altro. Avevo paura del suo orgoglio e del suo senso del dovere. La cercavo tra i capelli ricci, come a volerle suggerire con lo sguardo che in certi casi non bisogna pensare al dovere.
Ora le immagini cominciavano a farsi più confuse. Quel salotto qual era? Non lo riconoscevo. Dalla disposizione del divano poteva essere quello dei suoi, ma il resto della casa forse no. E i bambini, dove diavolo erano i bambini?

Uno stacco.
Ora sono fuori in strada, fa freddo ma è una giornata limpida. (Forse.) Vedo uno slargo con delle case basse. Rivedo lei che mi parla dei frati, ma è un ricordo dell'altra scena; ora sono solo. (Dove sono finiti tutti?) Al ricordo di qualle frasi se ne aggiunge un'altra, più confusa. Mi parla di violenza o sono io che mi sto risvegliando? Fatico a ricordare, ma quello è il momento più importante, non posso dimenticare. Tutto è successo perchè ho dimenticato: ho dimenticato quanto ci amavamo, ho dimenticato chi ero, ho dimenticato troppe cose e mi sono perso. Non posso dimenticare anche ora... Quale violenza? Forse è solo la mia immaginazione, non l'ha detto. Ma è una frase che mi dà speranza. (Forse. Ma no, cosa cambia in fondo?) Anche se so che non è andata così, esattamente così (lo so), finalmente mi pare di capire tutto.
Per un attimo la scena si fa frenetica, mi aggiro nella zona come a cercare indizi, frammenti di memoria. Salgo la scala di un palazzo, è ripida e malmessa. Entro in una appartamento al secondo piano. Non abbiamo mai abitato al secondo piano, e infatti non capisco dove sono; forse è solo una stanza, è fredda e spoglia, c'è un letto singolo addossato al muro e niente più. Che sia successo tutto lì? Dove cazzo sono finito? E lei dov'è?

Mi sveglio.
Manca un'ora a Lou Reed che mi canta "Coney Island Baby" e ho ancora sonno, ma non voglio dimenticare. Non più. Lo so, è questo che mi frega, ma non importa. Mi alzo per scrivere quello che ancora mi resta prima che scivoli via. Forse è già tardi, la realtà sta prendendo il sopravvento. Perdo dettagli, frasi, sguardi. Ma quel profumo, quei capelli, quella testa sulla mia spalla forse erano veri, perchè non se ne vanno ancora. Quel profumo non se ne vuole proprio andare.

Ecco Lou. Sono già le 11. Devo ancora fare la valigia, oggi si riparte.
Lo lascio suonare, stamattina non ho l'urgenza di spegnerlo e alzarmi, quello sarà da domani. Oggi me lo voglio ascoltare tutto.

When you're all alone and lonely
in your midnight hour
And you find that your soul
it's been up for sale

And you begin to think 'bout
all the things that you've done
And you begin to hate
just 'bout everything

But remember the princess who lived on the hill
Who loved you even though she knew you was wrong
And right now she just might come shining through
and the -

- Glory of love, glory of love
glory of love, just might come through


The glory of love...

2 commenti:

  1. Mi spiace..............
    ma......perchè?

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  2. eh, i sogni son sogni, chi lo sa perchè. capitano e basta.
    ma non ti preoccupare, o parentado. hanz è vivo e lotta inmezzavvoi! :-)

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